Tutto in me vuole vedere la luce e fiorire

Prima è arrivato il mio vicino di casa che, telefono alla mano, apre Facebook e commenta alcune mie foto davanti a un’attonita me.

Poi c’è stato uno sconosciuto su Tinder che mi scrive di come i miei disegni, pubblicati sul mio account Instagram collegato, risveglino in lui qualcosa di già visto e sentito, qualcosa che appartiene a tutti. Disegno il mio mondo interno, visioni che si proiettano sullo schermo della mia mente quando entro in meditazione.

Oggi su Insight Timer ricevo un messaggio che riguarda alcuni scritti sul mio blog, sì, questo blog. Ad attrarre la curiosità è il mio desiderio di conoscenza di me stessa e il coraggio di chi sa affrontare quelle parti di sè che è più comodo insabbiare. Ma quali sono queste parti? E questa comodità è reale? E quel coraggio non è naturale?

dal latino coratĭcum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cŏr, cŏrdis ’cuore’ e dal verbo habere ’avere’: avere cuore

Tutto in me vuole vedere la luce e fiorire.

di bellezza, vita, amicizia

Una serata come altre, dopo un bel pomeriggio in manifestazione, complice la neipa e chiacchiere che a volte si sottovalutano, mi son trovata a riflettere su temi importanti quali la bellezza, la vita, l’amicizia.

Rientro a casa, lascio la bici in cortile. Ho le estremità semi-congelate e mentre ritorno nell’atrio penso che come al solito salirò le scale a piedi. Ma l’ascensore è lì che mi aspetta ed entro. 4° piano. Mi guardo allo specchio, come sempre si suole. Vedo le guance leggermente scavate, quattro lentiggini e lo sguardo dolce di chi ha sempre in serbo un sorriso. E penso alle tue parole, Fede, “no, tu col trucco? Ma va, tu hai una bellezza naturale”. Sono cose che si dicono alle donne che non si truccano, chissà, forse anche quando si pensa “potresti prenderti un po’ più cura di te” o come non ebbe esitazione a dirmi un capo, donna, anni fa “se ti truccassi, saresti bellissima”. Mentre tu neanche col trucco, ricordo di aver pensato.
Io nello specchio dell’ascensore ho visto la bellezza dell’accettazione.
Ho pensato che la bellezza nasce lì e se tu la vedi, mi stai guardando dentro.
Ho pensato a come si cambia quando si inizia a cercar dentro invece che fuori.
Ho pensato che mentre ho amici che chiedono foto di cosce a donne incontrate in chat, e queste gliele mandano! io aspetto di rivedere una persona che ha stimolato la mia curiosità con gesti semplici e che pur senza rappresentare il mio ideale di bellezza, ha saputo mostrarmela. Tutti siamo belli quando veniamo a patti con noi stessi, quando non abbiamo bisogno di nasconderci o mentire, ma al contrario rappresentiamo chi siamo.

E se tu, Andrea, in me vedi cieli azzurri e prati verdi, il sole che splende e gli uccellini che cantano, forse ci sto riuscendo. Se col mio essere riesco ad offrirti anche solo qualche attimo di leggerezza, io ringrazio l’universo per quest’occasione di contaminazione. “…che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.
Ed io macigni sul cuore sento di non averne. Ma è stata una scelta, una scelta inevitabile che ho deciso di prendere perché l’alternativa non era più vita. Son passati degli anni, ci son stati alti e bassi, ma soprattutto molta consapevolezza del percorso che sto portando avanti, voglia di parlarne e condividere. E chi c’era lo sa. Mattia mi ha visto sotto un treno e mi ha fatto ridere finché non ho ricominciato a respirare. E se oggi mi scrive che bello sentirsi chiamare miglior amico, il mio invito è per lui e per tutti a riflettere sul significato e l’importanza dell’amicizia.
Coltiviamo l’amicizia, sempre.
Troviamo il tempo per chi ha bisogno.
Ci vuole molta forza per stare in piedi da soli.

La scorsa estate ho compiuto 10 anni. 10 anni single. E no, non per scelta, Fra. Anche tu, ieri, come i più, me l’hai chiesto. “Sei una bella ragazza” hai detto. Ma essere una bella ragazza non serve ad avere una relazione. Ti porta dei complimenti e alle volte una birra, ma mai al birrificio. Porta attenzioni vacue di cui faresti a meno e una sensazione di incomprensione e incomunicabilità. E qui ritorno alla scelta. Esser single per tutti questi anni non è stata una scelta. Molto semplicemente non ci state le condizioni minime per costruire una relazione. Non c’era l’attenzione, né il desiderio o la complicità. Perché io non ho voglia di rincorrere nessuno, né di venir rincorsa. O forse il contrario e cito ancora Italo Calvino quando “M’accorgo che correndo verso Y ciò che più desidero non è trovare Y al termine della mia corsa: voglio che sia Y a correre verso di me, è questa la risposta di cui ho bisogno, cioè ho bisogno che lei sappia che io sto correndo verso di lei ma nello stesso tempo ho bisogno di sapere che lei sta correndo verso di me.”

Un viaggio nuovo


Tra una settimana lascerò Tenerife alla volta di Barcellona. Son state settimane dedite alla pratica di asana e meditazione, lettura, corsa e nuoto, spiagge; e non ultimo chiacchiere con l’amico di una vita, Giammy.

Un weekend a Barcellona in un momento caldo per la città, dopo il referendum di domenica scorsa, i disordini, le violenze. Sarò di passaggio prima di incontrare il capitano della barca a vela con cui navigherò verso Tangeri.

Finalmente, dopo un paio di mesi di ricerca, ho trovato un imbarco. Un capitano giovane, Fabian ha 38 anni, svizzero; una barca francese del 1987, 30 anni! revisionata l’anno scorso, un Gib’Sea 402; una o altre due persone d’equipaggio. Tre settimane di navigazione, la prima volta che mi avventuro con persone che non conosco. Il mare di Alboran, le colonne d’Ercole, l’oceano.

Sono molto contenta, carica di quel solito misto di eccitazione ed agitazione che precede un viaggio importante, a cui attribuiamo un valore simbolico, come se fosse un’iniziazione.

Vorrei tenere un diario di bordo, proprio come fa il capitano. Questo è l’invito che faccio a me stessa ad una settimana dalla partenza.

Cambiare

La prima cosa che mi viene in mente se penso a come sono cambiata dopo il periodo sabbatico che mi ha portato a viaggiare e vivere nel sudest asiatico è il modo in cui affronto i miei giorni, come se fossi in viaggio, accettando sventure e fortune per ciò che sono e mantenendo la mia direzione. Non è sempre facile perché a casa persone, paesaggi e cose da fare si ripetono in un circolo che ci fa perdere di vista la realtà del cambiamento. È necessario intervenire sul modo in cui guardiamo alla realtà per renderla diversa, avere un atteggiamento propositivo e positivo per trovare nuove soluzioni, influenzare il nostro modo di pensare. Viaggiando ho imparato ad avere maggior fiducia in me stessa e a volermi bene e questo mi ha dato molta forza.

Sto imparando ad accettare il cambiamento concentrandomi sul presente e quando posso lo favorisco. Appena si è presentata l’occasione di un lavoro estivo, l’ho accettato. Altre facce, altri luoghi, alle cose da imparare. Ma soprattutto altre abitudini, un’altra routine a cui adattarsi per mantenersi vivi e non soccombere.

Tra una settimana parto per un viaggio-vacanza in barca a vela alle isole Baleari, proseguirò l’estate lavorando a Milano e poi Human Evolution con Andre, il matrimonio di Luca, il mio compleanno e poi i 70 anni di mio padre prima e di mia madre poi.
Si prospetta un’estate molto interessante!

Casa dolce casa

Il lavoro come divemaster all’Elba è saltato. La semi-stagna, il freddo, i giramenti di testa mi hanno fatto capire che non ero pronta per una stagione nel Mediterraneo.
E così, dopo un anno, settimana prossima ricomincio a lavorare.

È stato un anno ricco di viaggi, esperienze nuove e conoscenze. Un anno durante il quale ho scritto molto poco.

Barcellona perchè… 

Ho lasciato Milano pensando di voler viaggiare per qualche anno e dopo appena uno già pensavo a stabilirmi (ma non ci son riuscita!). Ho scelto Barcellona perchè ci pensavo da una vita, per il clima, per il mare, per quell’atmosfera positiva che sempre si respira. Vi ho trascorso parte dell’autunno e parte dell’inverno, cercando lavoro come operatore di customer care con italiano, ma soprattutto andando a correre sul lungomare, suonando l’ukulele e incontrando gente, praticando il mio castigliano.

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La prima difficoltà a cui si va incontro cercando un lavoro riguarda il NIE, un numero di identificazione per stranieri, che dicono sia obbligatorio per avere un lavoro. Il problema è che per richiedere il NIE bisogna avere un’offerta di lavoro, richiedere un appuntamento online e presentarsi in un ufficio con i documenti necessari. Tempo medio per un appuntamento: due settimane. E l’offerta intanto l’hai persa. La sensazione, molto frustrante, è di non avere accesso al lavoro. La realtà è che se hanno bisogno di te, in due giorni hai in mano il tuo NIE. E, tra l’altro, come mi ha riferito una consulente dell’Eures, il NIE non è necessario per firmare un contratto. Io infatti l’ho firmato con il passaporto.

Purtroppo il mio primo incarico da interprete è arrivato soltanto alla fine del mio soggiorno a Barcellona, quando ormai avevo deciso di prendere la patente nautica e fare un’altra stagione come divemaster.

Già, interprete! Perchè forse il mio cv è sovraqualificato per lavorare al call center, hahaha! Un’ottima esperienza ricca di stimoli e gratificante.
Così ho lasciato Barcellona con il mio NIE in tasca e il forte desiderio di ritornare. Perchè come dice mia mamma, la vita è fatta di piccole cose. Come il sole, il mare ed attraversare la strada senza paura.

Comparing cultures talking about men

We were attending a Khmer wedding with friends and collegues when this woman, who I’ve already known before, asked me if I wanted to have a relationship with a Cambodian guy.

Thanks Aideen for this photo of Clol and Channa

Thanks Aideen for this photo of Clol and Channa

I had never really thought Cambodian men were attractive nor had a proper or interesting conversation with any of them. I did not know what to reply when she said: “Just for the experience”
“You mean a one-night stand?”
“Oh, no, no, no! I mean a couple of years. Cambodian men no good for one night. Cambodian men: three seconds!
Italian men good for one night and probably not more.
French men good for a week.
But Cambodian men are good for a hundred years.”
Asian wisdom? Where do I go from here?

La mia estate europea

“Papà, che cos’è ΔΕΗ?”
“È la società elettrica, Martina. Non mi dire che c’è un divieto d’ancoraggio?!”
“…ehm… Sì!”
Troppo tardi, l’ancora è stata buttata e ha preso: non ci resta che controllare che non abbia fatto presa sui cavi elettrici o avremo un problema. Tutto bene, ma non possiamo fermarci a lungo, il tempo di un bagno e poi dovremo cercare un altro approdo.

Tra distrazioni e buon cibo, acqua gelata e baie incantevoli sono volate due settimane nelle Cicladi.
Vento e raffiche di 35-40 nodi ci hanno fermato in porto a Sifnos per un paio di giorni e ripartendo abbiamo trovato calma piatta che ci ha costretto ad accendere il motore. Ma poi le condizioni sono migliorate e ci siamo goduti delle belle veleggiate.
Mi piace stare al timone e sentire il vento nelle braccia. Le vele… Devo ancora iniziare a capirle.

Ho appena il tempo di rifare lo zaino ed eccomi a Parigi a trovar Luca e poi a Barcellona a trovar Andre. Non mi voglio fermare, non voglio pensare. Solo fare, andare, cambiare.

Rientro a Milano pensando di avere un lavoro in piscina e tanto tempo per organizzare un’altra partenza. Ma il tempo è tanto brutto che il lavoro salta e fermarsi è ancora più duro. Per fortuna non mancano le occasioni per distrarsi tra Saint Rhemy en Bosses, thanks dad!, Perledo, dove vado a trovare Nadia, e un paio di giorni a zonzo tra Appennino e Liguria.

Bali e Gili

Dopo quasi 5 mesi, il 24 maggio lascio la Cambogia diretta a Bali. Con il sorriso stampato in faccia e il cuore aperto la delusione è grande! Raggiungo Aideen, ormai ex-manager, a Kuta. Località super affollata, migliaia di alberghi e ristoranti, bar e club e addirittura… centri commerciali! Non è un posto dove si viaggia facile: il trasporto pubblico non esiste! Ma il rapporto qualità/prezzo di alberghi e guest-house è decisamente alto, il cibo non mi ha colpito e la frutta è decisamente insapore! E chi se lo aspettava sull’equatore!

Ci spostiamo a Sanur e decidiamo di andare a far immersioni a Nusa Penida: le migliori mai fatte! Prima immersione a Manta Point, la visibilità non è un granché ma siamo in 10 metri d’acqua e le mante nuotano così vicino: bellissime! Così grandi e maestose. Seconda immersione: Crystal Bay, e l’acqua è così blu che non ci credo, e non un granello di sospensione. Migliaia di pesci, migliaia di colori: un paesaggio stupendo. Chiudiamo la giornata con un drift dive a SD Point che ci lascia davvero soddisfatte.

Gili Trawangan

Gili Trawangan


Ma ne abbiamo avuto abbastanza di Bali e stiamo pensando di spostarci a Lombok dopo una veloce tappa a Ubud, forse troppo veloce per lasciare il segno! E invece, a caso, scegliamo Gili Trawangan! E se il fato non è stato dalla nostra quando abbiamo scelto Bali, si è invece rivelato amico in questa occasione. Unico neo: la sporcizia, che è più evidente nei tratti di spiaggia libera e nei punti più isolati della strada che segue il perimetro dell’isola, che ho percorso correndo un paio di volte. Gili Trawangan è piuttosto tranquilla, non ci sono automobili o moto, ma soltanto biciclette e carretti trainati da cavalli, un sacco di resort e guesthouse, un’ampia scelta per tutte le tasche. Bellissime spiagge e oceano blu: decidiamo di fare altre immersioni. I coralli sono morti e la visibilità non è eccezionale come a Nusa Penida, ma abbondano le tartarughe! Green e Hawksbill turtle. Migliaia di Red Tooth triggerfish e svariati Giant Triggerfish ed anche qualcun Clown triggerfish, oltre a murene e seppie. Oh mio dio, di colore grigio, continua a cambiare tonalità quasi lampeggiando come una luce stroboscopica.  La seppia, che animale incredibile!

Clown Triggerfish

Clown Triggerfish

Green Turtle!

Green Turtle!

Aideen and I

Aideen and I

Lascio l’isola, il viaggio continua!

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Ho lasciato il lavoro con quasi due settimane d’anticipo sul previsto con la sensazione d’essere arrivata e non aver più nulla da dare. Stanca dei problemi col generatore, la pompa dell’acqua, la linea telefonica, la titolare ed anche il personale locale. Felice e piena di speranze con un mese in viaggio davanti mi son presentata in ufficio con una pagina strappata da un quaderno sulla quale avevo annotato quanto mi spettava e quanto avevo preso in prestito.

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Kyoko ha letto con attenzione, mi ha pagato e tanti saluti. Come tanti titolari, anche per lei, non lavori mai abbastanza, ma che esperienza incredibile! In Italia mai mi sarebbe capitato di trovare lavoro così facilmente, prendere i soldi dalla cassa quando ne avevo bisogno e poi alla fine andare a riscuotere lo stipendio sulla base di calcoli fatti da me! E un giorno mi ha pure detto che lei non si fida di nessuno! Cara Kyoko, ne ho conosciuti di molto peggio!

Ho passato un paio di giorni a Kampot, sul fiume, non troppo distante da Sihanoukville, dove ho conosciuto Mariano ed Eric, australiani, si avviano verso i 50 anni, ex compagni di scuola che non si incontravano da una vita. Molto socievoli e simpatici, mi sono unita a loro per una gita in moto a Kep e provato a guidare! E voglio imparare per davvero! E fare un viaggio in moto!
Sì, a questo avevo già pensato… Sperduti nelle montagne nei dintorni di Samoeng con Giovanni. Tutta un’altra prospettiva, un modo nuovo di vedere i paesaggi e la possibilità di muoversi e fermarsi quando vuoi, ovunque vuoi.

Da lì mi dirigo a Phnom Pehn dove mi trovo subito a mio agio, si respira un’atmosfera tranquilla, difficile pensare che questa gente sia stata vittima di uno dei più terribili genocidi del recente passato. A Wat Phnom, che prende il nome da Lady Phnom, la quale ha voluto la costruzione di questo tempio su una piccola collina artificiale vicino al fiume per custodire quattro statue di Buddha di bronzo trovate in un albero nel Mekong e da cui deriva anche il nome della città, incontro Steve, inglese che invece sta viaggiando in bici. È già sulla mia lista da tempo… prima o poi mi organizzo! Per il momento mi limito a noleggiare una bici e vagare per la città; unica tappa decisa: S-21, Tuol Sleng Genocide Museum. Una scuola superiore trasformata in prigione. Non ci son parole per descriverla: ho avuto la pelle d’oca dal primo all’ultimo minuto che son stata lì dentro. Foto dei prigionieri, strumenti di tortura ed il solo fatto che fosse una scuola è raccapricciante.

Lascio la Cambogia con serenità, soddisfatta della bellissima esperienza di vita e lavoro e con la mia prima mezza maratona nelle gambe!

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Alti e bassi

Arriva un giorno in cui ti rendi conto che non puoi più restare e piangi. Dovresti parlare col tuo capo e dirgli che non puoi più lavorare, ma non ci riesci e continui a rimandare, mettendo a rischio la tua salute mentale e fisica.

Una ferita aperta sullo stinco a distanza di un mese non accenna a migliorare. Certo il clima tropicale e le immersioni non aiutano, così rientro a terra per concedere al mio corpo un attimo di tregua, ma al contrario le condizioni della mia ferita sembrano peggiorare. Dopo tre giorni ritorno sull’isola: se non vedo miglioramenti entro una settimana o dieci giorni, torno a casa. Cerco di non entrare in acqua, ma è il mio lavoro e non sempre riesco ad evitarlo. Per fortuna il mio corpo inizia a rispondere, coadiuvato da una buona dose di antibiotici, il terzo ciclo in meno di cinque mesi: un’infezione cutanea, una congiuntivite ed una ferita infetta. Fotografo la ferita ogni mattina per esser certa che stia migliorando.
Ormai mi sento tranquilla, la ferita non è ancora completamente rimarginata e probabilmente rimarrà una brutta cicatrice, ma l’infezione è scongiurata, la mia salute è fuori pericolo.

Il tempo vola e tra un mese lascerò il lavoro: una partenza programmata e non d’emergenza come temevo.
Sarà difficile lasciare questo paradiso, ma sono pronta. Quasi stanca: tra dive center e resort le giornate sono oltremodo lunghe e lavorare con i locali non è sempre facile.

Fa molto caldo, sta iniziando a piovere più spesso e l’altra notte abbiamo avuto la più spettacolare scarica di fulmini mai vista. L’intera baia, il pontile, la barca e l’isola di fronte ripetutamente illuminati a giorno per frazioni di secondo.
Aspettiamo la stagione delle piogge sperando in un miglioramento della visibilità e già penso a quanto tempo passerò fuori dall’acqua prima del prossimo lavoro.

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Koh Rong Samloem …al lavoro!

Arrivo a Sihanoukville con Nadia, che ho incontrato a Siem Reap, e Giorgio, con cui sono in giro già da Don Det, a bordo di uno sleeper bus verso le 9.30. Giorgio ha perso la barca così ci fermiamo al Koh Rong Island Travel Office per cambiare il biglietto e io chiedo subito se ci sono chance di lavorare come divemaster. Una telefonata e mi indirizzano a EcoSea Dive. Io e Nadia cerchiamo un alloggio, salutiamo Giorgio e poi andiamo in spiaggia per pranzo. Veniamo subito assalite da un paio di ‘estetiste’ e accettiamo l’offerta di depilazione con il filo. Contrattiamo un po’ sul prezzo e per $ 12 otteniamo gamba intera, ascelle e sopracciglia. Il tutto mentre affronto un piatto di fish amok.

Threading

Threading

Il cielo è bianco, l’aria calda, la spiaggia quasi vuota. Trovo Sihanoukville priva di fascino, ma ancora voglio indagare se c’è possibilità di lavoro. Mi fermo in un paio di dive shop lungo la strada e poi trovo EcoSea Dive. Kyoko, la proprietaria giapponese, mi dice che sta cercando qualcuno per mandare avanti il resort. Non si sente molto bene e proseguo la conversazione con Simona di Parma, di chiare origini orientali. Spaghetti connection! Ci mettiamo d’accordo per il giorno dopo: andrò a visitare il resort su Koh Rong Samloem. Sull’isola Kyoko mi dice che ha bisogno di un divemaster: perfetto! Torno il giorno dopo e mi spiega cosa c’è da fare, così mi ritrovo manager e divemaster. Nel pomeriggio arriva Cenk, istruttore, da Cipro e Kyoko lascia l’isola. Resort e diving centre sono nelle nostre mani! Otto giorni pieni: lavoro nuovo e orari lunghi finchè Kyoko torna ed io ho due giorni di riposo. Al mio rientro c’è una bella sorpresa: Aideen, ospite del resort da qualche giorno, è la nuova manager! Così io posso dedicarmi al diving e a me stessa: questa settimana sono già andata due volte a correre ed una a nuotare. E ho anche affrontato una 7-minute workout challenge con Aideen!

È già passato un mese. Un mese all’aria aperta tra l’amaca e il bancone del bar, la spiaggia e l’oceano. Lo staff locale è molto numeroso e spesso capirsi non è facile, ma è sempre uno spunto per una risata. L’inglese delle ragazze con cui lavoriamo a più stretto contatto migliora ogni giorno e la complicità che va creandosi aiuta il funzionamento di tutta la macchina. Gli ospiti non si fermano mai più di due o tre giorni, c’è sempre qualcuno che va e qualcuno che viene; molti decidono di estendere il loro soggiorno: lasciare l’isola è difficile.

Nel frattempo si sono uniti alla crew Antonella, istruttrice, Mari, tedesca, divemaster in training, ed il suo ragazzo Florian, francese, che si occupa del sito da Sihanoukville e viene sull’isola a fare immersioni. Abbiamo avuto una settimana difficile appena sono arrivati: compressore, barca e generatore fuori uso nell’arco di tre o quattro giorni! La barca si è fermata mentre stavano venendo a recuperarmi: ero appena affiorata dopo aver perso due diver nella corrente e altri due che cercavano di uscirne. I primi due li ho ritrovati in superficie dopo un paio di minuti, gli altri, noncuranti, hanno proseguito e non ho avuto loro notizie finché una long-tail è venuta a prenderci.
Momenti difficili, ma è tutta esperienza.

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Siem Reap

Lascio Don Det il due gennaio in compagnia di Giorgio e Mate. Appuntamento da Mama alle 8.30. Destinazione: Siem Reap. Sappiamo che sarà un viaggio lungo, ma spesso la realtà supera le aspettative e arriviamo verso le 3 dopo lunghe attese prima al confine per il visto e poi per cambiare bus. In tutto una long-tail boat, tre van e un bus e quasi 19 ore di viaggio.
Ci prendiamo un giorno di pausa e andiamo ad Angkor Wat solo per il tramonto. La mattina seguente siamo pronti di buon ora per l’alba: Pot, il tuk-tuk driver che non ci molla dalla notte del nostro arrivo, viene a prenderci e ci accompagna per tutto il giorno alla scoperta di Bayon (il mio preferito), Angkor Thom, Angkor Wat.

Angkor Wat

Angkor Wat

Il giorno dopo parto in bici con Giorgio, che ha comprato un pass per tre giorni, ma al check point non mi fanno passare. Non voglio entrare nei templi, solo visitare il parco, ma non c’è niente da fare. Domando come mai è previsto un pagamento di 2000 riel per l’uso dei bagni pubblici per coloro che non hanno un biglietto, ma non ricevo nessuna spiegazione. Torno indietro e provo ad entrare da un’altra parte: mi insegue una guardia in motorino e mi minaccia di chiamare la polizia. Anche da lui nessuna spiegazione. Giro la bici e proseguo. Mi insegue uno sbirro! Mi scuso, ma non ho visto cartelli di proprietà privata o divieto d’accesso. Prendo un’altra strada e dopo un po’ mi affianca Mom, 22 anni, vorrebbe diventare insegnante di Inglese. Insieme ci dirigiamo verso il West Baray, un lago artificiale. Lungo il tragitto attraverso il suo villaggio sento della musica e Mom mi spiega che stanno organizzando un matrimonio. Gli chiedo se possiamo andare e mi risponde che essendo il suo villaggio, ma non la sua famiglia è meglio che vada da sola. Mi avventuro per il sentiero, seguo la musica finché vedo un tendone rosso. Rallento, sotto la tenda c’è un gruppo di donne al lavoro e un paio mi fanno cenno d’avvicinarmi. Mi siedo con loro e vedo che stanno preparando dei fagottini di foglie di banana pieni di riso. Vorrei sapere di cosa si tratta, ma la comunicazione è davvero difficile: continuiamo a parlare e a sorridere senza capirci. Una di loro mi mostra i due pollici alzati uno accanto all’altro, Mom mi spiegherà poi che questo gesto indica il matrimonio. Arrivano anche un paio di bimbe molto incuriosite dalla mia presenza e al contempo timide. Due ragazzi portano un tronco di banano con tanto di foglie e casco e lo legano all’ingresso del tendone e lo dipingono d’argento. Sarà gran festa, mi dispiace non poter partecipare! Trascorro in loro compagnia forse mezz’ora e l’unica cosa che credo di aver capito è: ‘tette grandi, sei incinta?’

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Torno da Mom che mi offre un cocco fresco e mi invita a seguirlo fino a casa. Mom ha un problema ad un piede che gli impedisce di camminare bene. Forse è per questo che a 22 anni studia ancora e non è a lavorare nei campi e con gli animali come il resto della sua famiglia. Rimontiamo in sella e Mom mi accompagna all’ingresso non presidiato del sito di Angkor. Finalmente posso entrare! Ci salutiamo ed io proseguo da sola. Dopo un paio di ore a zonzo riprendo la strada per la città e mi ritrovo accanto a Lon: anche lui sta tornando a Siem Reap così pedaliamo insieme. Nonostante la giovanissima età, Lon avrà forse 9 anni, riesce a rispondere alle mie domande e io mi diverto a scherzare con lui. Certi incontri ti cambiano la giornata.

Don Det e Mama Piang

Ho rinunciato al Bolaven Plateau per la mancanza di un compagno viaggio e così a Pakse ho cambiato bus e mi sono diretta verso four-thousend islands. Cambiato bus… hanno fatto scendere me ed una coppia di francesi nei pressi dell’aeroporto dove già c’era un tuk-tuk ad aspettarci dicendoci che il bus proseguiva per Attapeu. In realtà è arrivato alla stazione dei bus dieci minuti dopo il mio tuk-tuk… devono pur lavorare anche loro! Son cose però che non ti fanno sentire la benvenuta. Compro un biglietto per ‘small islands’ e non ho idea di dove sto andando. So che viaggerò su un grande tuk-tuk per circa tre ore, partenza alle 4. Un viaggio lungo, lunghissimo, all’aperto, scomodo e polveroso. La maggior parte dei passeggeri scende in villaggi sparsi lungo la strada che a volte neanche si intravedono, ma con me fino al capolinea c’è Suk. Mi chiede se vado a Don Det, io in realtà non lo so, ma salgo con lui sulla barca che nel buio pesto delle 8, fra migliaia di isole ci porta a destinazione. Suk lavora con lo zio che gestisce una guesthouse: sette bungalow allineati lungo il fiume, inevitabile andare a vedere. E fermarsi. Il bungalow è decente, sedie, tavolo ed amaca in ‘veranda’ ed acqua calda, che scoprirò poi essere la sola ad avere allo stesso prezzo!
Lascio lo zaino ed esco subito a mangiare. Sto dando un’occhiata al menù di un ristorante indiano quando sento una voce: “sei sicura di voler mangiare all’indiano? Sei mai stata in India?” e in un attimo trovo con chi condividere la mia prima cena sull’isola. Purtroppo in un altro ristorante. Francia, Spagna, Sudafrica, Australia ed Italia intorno a un tavolo ed uno dei peggiori fried noodle che abbia provato nel mio piatto.
Al mio risveglio scopro che quelle ombre viste la sera prima non sono rocce: tutte le isole, anche le più piccole, sono coperte di alberi ed arbusti; il fiume scorre lento e la vista è bellissima.
Nell’arco di un paio di giorni facciamo del ristorante di Mama Piang la nostra base. Mama è dolcissima e sempre sorridente, ogni tanto dimentica qualche ordinazione, ma qui è pressochè la norma ovunque. Papa è più silenzioso, ma ha sempre un sorriso per tutti. Mama e Papa hanno due figli: un bimbo di 7 anni che ho visto solo un paio di volte e deve aver preso dal papà e una bimba di due che è sempre con la nonna. Mama non ha orari: è sempre al ristorante. Trascorriamo la serata dell’ultimo dell’anno da loro: nessun cenone, ognuno ordina quando ha fame. Quando li salutiamo verso le 11 per andare alla festa in spiaggia, tra grandi abbracci e auguri di buona fortuna, entrambi ci legano dei fili di cotone al polso pronunciando parole sconosciute che hanno un che di rituale.
In buona compagnia tra chiacchiere, cocco fresco e pedalate in bicicletta una settimana a Don Det trascorre in fretta.

Savannakhet, Laos

Dopo dieci giorni di totale pigrizia tra Luang Prabang e Vang Vieng, saluto Kelly alla stazione dei bus di Ventiane e parto per Savannakhet.
Sono le 5.30 am della vigilia di Natale, ho camminato per mezz’ora dalla stazione degli autobus al centro e la città è ancora morta, ma intanto il cielo si rischiara. Un gentile signore incuriosito mi domanda da dove vengo e cosa faccio e mi indica una guesthouse. Mi incammino poco dopo e lo incrocio di nuovo per strada. È andato a comprare il pane: mi offre una baguette e mi propone di incontrarlo la sera alle sette.

Ho incontrato Kelly sul van che da Chiang Mai ci ha portato a Chiang Khong, al confine col Laos, dopo una sosta al White Temple nei pressi di Chiang Rai. Progettato da un pittore visionario e iniziato a costruire nel 1997 è un tempio buddhista ed induista, è bianco e… assurdo. All’interno, che è vietato fotografare, dipinti sui muri ci sono personaggi del calibro di Spiderman e Doraemon, Elvis e Batman. La sua costruzione dovrebbe concludersi nel 2070.

Passiamo la notte al confine e il giorno dopo siamo in Laos: la slow boat ci aspetta! Ma prima di imbarcarci veniamo indottrinati da questa presunta “guida” su quel che ci aspetta. ‘Non è come vi hanno raccontato a Chiang Mai quando avete comprato il biglietto! E quando stasera arriverete a Pakbeng verso le sette o forse otto di sera ci saranno i locali che vorranno portarvi i bagagli, ma voi dovete sempre avere la vostra roba con voi, non fidatevi! E visto che è l’unico posto dove potete dormire… ah, i prezzi!’ Sì, quindi sta a vedere che prenoto con te! Hanno prenotato tutti tranne me e Kelly che si è un po’ abbandonata al mio volere. Viaggio piacevole, un po’ stretti, soprattutto il primo giorno. Camera economica e pulita, cibo, birra e combriccola!
La mattina si riparte e nel pomeriggio siamo a Luang Prabang. Ci affidiamo al primo “albergatore” che per 80.000 kip ci offre una doppia con bagno, banane, caffè e te! Luang Prabang ha un sapore strano e piacevole. Belle case, resort, guesthouse… sembra proprio un posto di vacanza. La nostra prima cena è un Lao BBQ: c’è un braciere in mezzo al tavolo e una pentola dove cuocere un brodo di verdure, tofu e uova; e una cupola da ungere col lardo dove cuocere la carne. Ancora non sappiamo che i nostri giorni insieme saranno dedicati alla scoperta della cucina laotiana, camminate senza meta e poltrire al sole lungo il fiume a Vang Vieng. Ma l’ultimo giorno a Luang Prabang decidiamo di noleggiare delle bici e attraversiamo il fiume dove un nonno col nipote ci invita a visitare la sua casa e ci offre ospitalità. Giuro che son fosse stato così freddo io una notte nella capanna l’avrei passata!

Sul van per Vang Vieng un ragazzo tedesco ci parla di bungolow aldilà del fiume, così una volta arrivati decidiamo di seguirlo. Mai scelta fu più appropriata: un bel prato verde lungo il fiume e una vista incredibile sulle montagne. Calde giornate di sole, ma il freddo arriva subito appena questo cala. Caffè, zuppa, amaca, due passi, pad kapao, lettino lungo il fiume, birra, laab, whiskey. Sì, un giorno ci siamo arrampicate su una montagnetta. Niente tubing, niente kayaking, solo relax.

Ok, era un appuntamento! E io che pensavo che fosse genuinamente interessato ad uno scambio culturale…! Posso essere ancora così ingenua a trntrtrtr anni?!

Questo natale a Savannakhet è passato davvero inosservato, nonostante la presenza di una chiesa cattolica e di una evangelica in città. In compagnia di Guillaume ho pedalato fino al tempio e poi al lago, dove abbiamo pranzato in un bel ristorante.

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